SHAKESPEARE SECONDO MALOSTI: L'IO COME MOLTITUDINE E IL GIOCO DEGLI OPPOSTI
di Ida Barbalinardo
Foto Alice Stella
Tutto ciò che esiste viene percepito o compreso in relazione al proprio contrario. La vita stessa esiste solo se pensata in relazione alla morte. Ne consegue, dunque, che alla base del mondo in cui viviamo e della nostra sussistenza vi è un'insanabile unione di opposti.
Probabilmente, ciò che emerge più di tutto in "Shakespeare/Sonetti" è proprio questo legame indissolubile: i celebri Sonetti shakespeariani sono qui ricostruiti in una nuova drammaturgia che traspone direttamente sulla scena l'essenza cosmica.
Attraverso il racconto controverso dell'amore di un uomo adulto per un giovane ragazzo, infatti, prendono vita dinanzi agli occhi dello spettatore continui contrasti tra bianco e nero, luce e ombra, vita e morte, realtà e delirio, spiritualità e carnalità, bene e male.
Sul palcoscenico, seduto dietro a una grande scrivania quasi come se fosse stato tirato fuori da un libro di scuola, c'è Shakespeare (Elena Serra) intento a leggere i suoi versi. Alle sue spalle, due figure si muovono come bambole in un carillon all'interno di spazi posti agli estremi del fondale: sono la Dark Lady (Michela Lucenti) e il Fair Youth (Marcello Spinetta), oggetto d'amore del Poeta.
A irrompere in questa atmosfera surreale, avanzando verso il proscenio, è il Poeta-Buffone (V. Malosti): ciuffo ossigenato, cerone sul volto, il corpo robusto avvolto in una tuta da clown paillettata. Muovendosi freneticamente sulla scena, declama I suoi versi rivolgendosi al pubblico e contemporaneamente al giovane ragazzo che si staglia dinanzi a lui. Si presenta come una figura paradossale, il Poeta: è l'istigatore della risata e al contempo la vittima di essa. Recita utilizzando un tono canzonatorio e un atteggiamento irridente, incoerenti con i contenuti del testo. Il suo unico scopo sembra essere quello di divertire e intrattenere il suo pubblico, come suggeriscono le stesse risate da serie tv americana che vengono proposte in sottofondo alla fine di ogni battuta.
Di fronte a questo cortocircuito di toni, intenzioni e contenuti differenti, le sensazioni di chi guarda sono altrettanto contraddittorie e oscillanti tra il riso, l'imbarazzo e il fastidio.
Penetrando nello spettacolo però, la confusione dello spettatore va progressivamente diradandosi. Quella del Buffone, infatti, si rivela pian piano una maschera che cela un dolore e un obiettivo più profondi: come il pagliaccio che è disposto a divenire egli stesso spettacolo pur di intrattenere il proprio pubblico, il vecchio poeta non esita a coprirsi di ridicolo, a rendersi buffone, a perdere la propria dignità pur di compiacere il suo amato.
Rispetto al Fair Youth egli si trova, infatti, in una posizione di ontologica inferiorità e questo suo essere subalterno plasma conseguentemente il linguaggio poetico: in un uso quasi cortese di rivolgersi al dedicatario in atto di sottomissione, le parole di Malosti si intessono di una retorica di lode costellata da numerose espressioni metaforiche. Il giovane ragazzo è "un sole, un gioiello prezioso, un giglio, una rosa...", contrapposto al Buffone non soltanto per una questione anagrafica, ma anche per ciò che concerne il versante estetico e per le suggestioni da esso ispirate.
I lineamenti dolci del viso incorniciati dai folti capelli biondi e la pelle talmente candida da uniformarsi al pantalone bianco indossato, contribuiscono a definirlo emblema della bellezza idealizzata, simbolo di luce e grazia e unico baluardo di eternità contro l'incombere della morte.
A rivelare quanta inquietudine ci sia dietro quell'apparente ilarità è soprattutto la presenza di uno specchio sospeso in alto, chiara rappresentazione del paradosso insito nel concetto di identità. La nostra immagine proiettata allo specchio, infatti, coincide con la parte che ognuno di noi recita nella vita quotidiana, prodotto di fattori contingenti tra i quali la nostra cultura e la nostra classe di appartenenza. Aldilà dello specchio e dell'apparenza, c'è l'abisso della nostra interiorità, tanto fuggevole e indefinita da non rientrare nelle regole dello stare al mondo e per questo spesso repressa.
Ma siamo a teatro e se nella vita umana vincono le maschere, qui, è la verità nascosta ad essere svelata e dichiarata: lo specchio viene lentamente calato sul palcoscenico diventando un letto e a subentrare è la Dark Lady. Opposta al Fair Youth, questa, è lo specchio perverso del Poeta-Narratore, tutto quello che egli non vorrebbe essere ma che in parte, suo malgrado, è.
Con I capelli raccolti in uno chignon alto, cinta da un lungo e largo vestito nero, è il simbolo della lussuria, che il Poeta vive con sentimenti contrastanti.
"[...] e finchè è in atto, la lussuria
è spergiura, assassina, sanguinaria, carica d'infamia [...];
non appena goduta e subito disprezzata,
oltre ragione rincorsa e non appena ottenuta,
oltre ragione odiata, come esca inghiottita,
tesa di proposito per rendere pazzo chi vi abbocca;
[...]
Tutto ciò il mondo ben sa, eppure nessuno sa bene come evitare il paradiso che conduce gli uomini a questo inferno."
Così Shakespeare, nel Sonetto 129, parla dell'ossessione del corpo: sì un grande dolore, ma a posteriori. Nell'attesa essa è una gioia e nell'atto stesso, una benedizione. Un concetto, dunque, che racchiude in sè una coesistenza di opposti.
Diversamente dal Fair Youth, la Dark Lady é fatta di carne, colpe e oscurità. Non rappresenta la bellezza idealizzata, ma l'imperfezione, la fragilità e la fallibilità umane.
Attraverso una danza surreale, durante la quale lentamente scopre il suo corpo, la Lussuria coinvolge l'anima e il corpo del vecchio poeta. La definitiva prostrazione di quest'ultimo al potere dell'Eros sarà suggellata dall'immagine danzante e nuda della Dark Lady mentre morde la mela, simbolo del peccato, e dalle parole di Domenico Modugno.
"Dio come ti amo
mi vien da piangere
in tutta la mia vita non ho provato mai
un bene così caro
un bene così vero
che può fermare il fiume
che corre verso il mare."
E ancora.
"Tutto il mio folle amore
lo soffia il cielo
lo soffia il cielo
così."
Cullato dal dolce canto di Michela Lucenti (Dark Lady), il pubblico assiste al palesarsi definitivo del tormento del Poeta: inghiottito dal richiamo dei sensi, è ormai un uomo totalmente sconfitto, frustrato, umiliato. Un tormento che si riflette anche nel suo linguaggio scevro da ogni ornamento, per lasciare il posto a una poesia più istintiva e naturale.
Ad aggravare questa sua condizione è la comparsa del Poeta Rivale (Maurizio Camilli). Giovane ragazzo anch'egli, presenta tratti fisici più duri e aspri di quelli del Fair Youth e compare in scena indossando un pantalone nero.
La sola vista della sintonìa del suo amore con il Rivale, basta al Poeta per perdere anche la più piccola speranza rimasta. Non servirà lo sterile rapporto sessuale tra quest'ultimo e il Fair Youth simulato su una parete al lato della scena, al contrario, l'effimera soddisfazione della carne contribuirà ad allargare ulteriormente la voragine creatasi nel petto del Poeta-Narratore e ad allontanarlo ancor di più dal suo oggetto d'amore.
Un finale che non porta con sè alcuna morale o soluzione definitiva, ma esclusivamente la presa di coscienza, da parte dello spettatore, della natura ossimorica di se stesso e del cosmo.
"Shakespeare/Sonetti" di Valter Malosti è forse questo: la dimostrazione dell'inscindibilità degli opposti, uno spazio abitato dai recessi dell'anima di uno che diviene moltitudine.
postato da Koreja il gio 21 novembre 2024 alle 10:32 - Commenti(0)
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