C'è un uomo che ha bisogno di farsi perdonare qualcosa. E chi non è in una condizione simile? Lui ha bisogno di farsi perdonare un fatto grave, qualcosa che lei, la donna, proprio non riesce a dimenticare. Per farlo, ha bisogno di raccontare quel che è successo a un pubblico, perché ciascuno tra i presenti comprenda la ragione del terrore. Sembra un destino connaturato all'uomo: si reagisce al male subito con il male, in una spirale che appare essere senza soluzione. Se hanno distrutto la città in cui vivevi, se hanno ammazzato i tuoi, se ti hanno costretto a lasciare tutto e scappare, come vuoi reagire? Come ti aspetti che reagisca uno in questa condizione? Tutto, secondo Vittorini, è profondamente nell'uomo. Il male non esisterebbe se non fosse nell'uomo, nel singolo uomo. E allora, se è così, anche la soluzione al male deve essere nell'uomo. Lo spettacolo prova a ragionare su questi temi, per capire se esiste una ragione al terrore provocato, al dolore, alla violenza. C'è una ragione? E se sì, è condivisibile? Un racconto sull'apparente inevitabilità di certe conseguenze, perché ci sono storie che nella loro linearità sembrano semplici. E poi non bisogna stupirsi quando deflagrano, perché era prevedibile. Questo è un racconto accaduto in Italia pochi decenni fa; un paesaggio fatto di grotte abitate da persone ma non è ambientato nella preistoria. In posti come questo i sogni devono essere veri. Che poi, i sogni, se non fossero vita vera, perché ci farebbero sudare e palpitare ed emozionare? E qui, sono rimasti solo i sogni a dare speranza alle giornate. Riflettendo intorno a questi temi, abbiamo scoperto che c'è una soluzione umana, profondamente umana: forse si chiama stanchezza, forse codardia, forse solo necessità di sottrarsi, di farsi da parte; c'è, forse, una maniera per scardinare ogni ragione del terrore.
Foto di Daniele Coricciati
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