Un lavoro teatrale che riflette sulla condizione umana dell'apprendere, del fare un tragitto verso una condizione "altra", dove la povertà di un'imperfezione - come quella della condizione umana - cerca di incontrare e gestire la perfezione. La perfezione è qui rappresentata dall'arte sublime dell'apparecchiare una tavola in modo impeccabile, dall'arte del cameriere come metafora del tentativo di divenire incarnazione della divinità, della condizione adulta. In una scena completamente bianca e visionaria, dei giovani camerieri/e si muovono in un alternarsi di forme, passaggi, brani poetici sull'arte dell'apparecchiare e dell'accogliere. Vediamo passare pietanze surrealmente bianche, vediamo frantumarsi il tentativo di essere perfetto, sino alla tavola apparecchiata, che si distrugge per divenire tavola del sacrificio estremo, gli stessi costruttori divengono cibo, mentre sullo sfondo, vediamo le immagini di vari film di Totò in cui lui è a tavola, a ricordarci la nostra condizione quotidiana e la magia del teatro.
Perfezione ed imperfezione sono la medesima condizione, non possiamo vivere la bellezza senza profanarla, presentiamo i cibi nel modo migliore per stimolare la distruzione degli stessi "ci vestiamo bene nella speranza che ci spoglino".
Il lavoro s'ispira al film " Lunga vita alla signora " di Ermanno Olmi ed all'opera di Savarin " Fisiologia del gusto ".
                                                                                                                    Vincenzo Toma