K. TRILOGIA DELLA SOLITUDINE

2000

K. TRILOGIA DELLA SOLITUDINE
opera da camera in due atti tratta dai romanzi America, Il processo, Il castello di F. Kafka

con Antonio Aluisi, Ippolito Chiarello, Sabrina Daniele, Cristina Mileti, Cristina Nadal, Fabrizio Pugliese, Arkadiusz Pstrong, Silvia Riccardelli, Nada Torto
Laboratorio Novamusica Mirko Busatto, Stefano Cardo, Carlo Carratelli, Massimiliano Donninelli, Piergabriele Mancuso, Luca Mosca, Cecilia Vendrasco, Rossella Zampiron
libretto Pilar Garcia
musica Luca Mosca
regia Salvatore Tramacere
scene e luci Lucio Diana e Luca Ruzza
cura tecnica Marco Oliani
costumi Laura Colombo e Cristina Mileti
trucco Simona Marra

Spettacolo prodotto dai Cantieri Teatrali Koreja con la Biennale di Venezia e la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia

Il progetto di K. nasce dalla stretta collaborazione fra il compositore Luca Mosca, la librettista Pilar Garcìa, il regista Salvatore Tramacere, la cooperativa teatrale "Koreja" di Lecce e il Laboratorio Novamusica di Venezia. Prevede la messa in scena di tutti e tre i romanzi di Kafka riuniti in un'opera da camera in due atti: America nel primo, Il processo e Il castello nel secondo. L'ipotesi di lavoro scaturisce dall'idea comune di superare i confini tra teatro parlato e cantato nella volontà di rendere viva la parola attraverso un complesso gioco di relazioni sonore, idea che è già approdata alla realizzazione dell'opera in un atto America.
Da un lato, la duttilità degli attori di Koreja e la loro capacità di affrontare disinvoltamente la scrittura musicale offrono la possibilità di concepire una partitura che sfrutti al meglio le loro potenzialità coniugate con quelle dei quattro cantanti e degli strumentisti dell'orchestra e di dare un trattamento alle voci nel quale è fondamentale la tensione melodica nella recitazione: così viene ampliata mediante il canto una loro espressività più vicina a quella dei cantanti, che grazie a nuovi moduli interpretativi tendono a un "recitar cantando" agile e pregnante. Da un altro, l'uso di una vasta gamma di strumenti non usuali (oboe indiano, bastone della pioggia, sho, organi a bocca tailandesi, piano giocattolo, piccolo balafhon, trombetta ungherese, sanza, piccolo sitar, didgeridoo, clavietta, flauto irlandese...) si espande in uno spazio sonoro dove sono la sorpresa e l'imprevedibilità a guidare l'ascoltatore nello stupore del mondo kafkiano. Voci e strumenti interagiscono in un rapporto caleidoscopico, incessante e multiforme facendo del ritmo l'elemento portante del linguaggio musicale: sia per sottolineare quanto le immagini di Kafka siano portatrici di tanti significati spesso opposti e contraddittori, sia per ricondurre alla frammentarietà caratteristica della sua prosa. E questo per evitare di rendere ancora una visione statica, grigia o angosciosa della "kafkianità" e per dare un particolare rilievo alla dinamicità, all'umorismo, l'ironico distacco, la sicura audacia nelle puntate verso il grottesco presenti nell'opera dello scrittore praghese.

 

Foto di Roberto Cazzato